Ma il mio fiore fu...   L' "AVE MARIS STELLA"

Qualcuno, un mio amico, uno dei tanti geranesi che vivono altrove, mi condusse tempo fa a Gerano, un paese tiburtino il cui nome era a me sconosciuto, almeno fino a quel giorno. Era il “maggio odoroso”, così canta il Poeta, il tempo dell’Infiorata, il Giorno dell’Infiorata. Vi arrivai, come di rito fanno i geranesi che vivono altrove, verso le quattro del pomeriggio del sabato, giusto in tempo per assistere alla “calata”.

 

“Alle cinque c’è la calata”, mi aveva ripetuto ansiosamente questo qualcuno per tutto il viaggio. “Non puoi davvero perdertela... Davvero!”.“E che sarà mai ’sta calata?” avevo pensato scetticamente tra me e me. Arrivati a Gerano (la macchina parcheggiata davanti al convento delle suore) il mio amico, questo qualcuno, mi condusse sveltamente e nervosamente all’interno della Chiesa, già traboccante di folla. Ed in via del tutto eccezionale mi fece accomodare in alto, sul palco del coro.Da lassù potei osservare una immagine che è poi del tutto abituale per le feste religiose di paese: una massa di donne che recitava il Rosario, compatta (che dico compatta, compattissima, ogni donna stretta, strettissima al fianco dell’altra - donne anziane, vestite di nero, grossi ori e falsi ori al collo, ragazzine con la vesticciola ricamata, ragazze in blue jeans con gli sbrilluccichi, donne sposate con il velo in testa, ragazze da marito con l’occhio girovago, bambine in braccio, sulle ginocchia, anche al seno delle madri...) e pochissimi maschi.Ce n’erano alcuni, si, ma erano vestiti in bianco, da chierici, e si davano molto da fare andando e venendo freneticamente tra l’altare e la sagrestia. Dissi, convinto, al mio qualcuno: “C’è qua dentro, in Chiesa, la sento, una forte emozione. Una emozione visibile, tangibile... La percepisco, direi quasi, al tatto, alla vista... Ed è vero!”. “Certo che è vero”, mi confermò con voce sempre più sospesa e sudata il mio qualcuno.Poi, accortosi che ancora mancava qualche minuto alla calata, mi cominciò a spiegare che dietro a quella riza argentea, posta in alto sull’altare - ed ovviamente me la indicò - per tutto l’anno rimane nascosta una immagine della Madonna, la Madonna del Cuore, tra l’altro opera pregevolissima di un noto pittore del seicento: Sebastiano Conca.“Il popolo di Gerano è devotissimo a questa immagine”, “Ma mi spieghi adesso cosa è ’sta calata?” feci io.“Ora prima si fa calare la riza... Adesso c’è un motorino, che la fa calare, scendere, piano piano... E così il popolo torna a vedere la Madonna, dopo tanti mesi che non la vede. E poi la stessa immagine della Madonna viene calata giù dall’altare perché domani deve essere portata in processione...” (Calata dunque nel senso di discesa, di tirata giù. E questo il primo significato, ed anche il più ovvio, del termine “Calata”: ma vedrete che per me ce ne sarà un secondo!). In quel momento entrarono Sindaco e Giunta, Vescovo e preti ed una calca rumorosa di confratelli in camicione bianco e cominciò la cerimonia con suoni d’organo e canti. Ed infatti piano piano la riza se ne scese giù, apparve l’immagine della Madonna: commozione popolare, grida di “Evviva Maria!”, sventolio di fazzoletti, fumi ed aromi di incenso.“È davvero molto bella” dissi a prima vista al mio amico. “Comunicativa, emozionante. Bella e materna, la Madonna del Conca. Un gran bel quadro”. E vi dico subito che ero emozionato anche io, soprattutto felice nel fissare quasi ipnotizzato la Madonna, teneramente felice, come in un atto d’amore.A questo punto successe una cosa che non mi aspettavo: la massa compatta delle donne, con le loro voci ampie e... pettorali (ma anche quella altrettanto compatta degli uomini sopraggiunti, con i loro vocioni certo poco... temperati) attacca, all’unisono, ad uno straordinario incredibile unisono, un canto mariano: l’Ave Maris Stella. Un canto che usciva da tutte quelle voci così potente, schietto, genuino, teso, vibrante, un canto antico che sapeva di secoli e secoli di religione vissuta e condivisa. Un canto che chiamava la Madonna, che la evocava e la invocava (forse meglio dire: che la “ad-vocava”), che la attirava a piegarsi misericordiosa sulle donne e sugli uomini di quella terra, un canto che era per me - ve lo avevo detto, no, che c’era per me un secondo significato alla parola “calata”? - un canto che era per me la vera “calata” della cerimonia, se vero che “calare” in latino antico voleva significare “chiamare”, ed i comizi erano “calati” quando erano convocati, gridati, comunicati al popolo, “Calatis comitiis”, nell’ablativo assoluto dei termini giuridici ed i Lupercali erano feste nelle quali il Totem-lupo era “calatus”, chiamato, evocato, invocato a tutela dell’intero popolo Romano, ed il Dictator era “calatus” dal popolo romano al momento della sua investitura, e così pure l’Imperator, qualche secolo dopo, era “calatus” dal suo esercito schierato e solo dopo tale acclamazione riceveva integre le sue funzioni. Il popolo di Gerano cantanto l’Ave Maris Stella, nel significato antico: “calava” la Madonna, chiamava la Madonna in proprio soccorso, voleva che Lei fosse accanto ad ognuno, materna ed “ad-vocata”, (“advocata nostra” dice il Salve Regina), esigeva che Lei pregasse per ognuno “adesso”, in quel preciso attimo, come recita l’Ave Maria, chiedeva che Lei pregasse per ognuno “adesso e nell’ora della morte” e ne impetrava la benedizione. Questa era per me la vera, antica “calata” che il popolo di Gerano ritualmente - e più o meno consapevolmente - faceva nel momento in cui l’immagine della Madonna del Cuore si manifestava luminosa e pura agli occhi di tutti. I miei occhi si riempirono di lagrime. Adesso che hai visto la calata, vedrai cos’è domani la “sciarrata”, mi fece improvvisamente il qualcuno, mio amico, mentre uscivamo dalla Chiesa e ci stavamo avviando verso la via già predisposta a ricevere l’Infiorata. Infatti, come succede da quasi duecentocinquanta anni, nella notte seguente c’è la notte dell’Infiorata, la notte in cui tutto il popolo di Gerano - bambini, adulti, vecchi - costruisce un immenso tappeto di fiori, perché il giorno dopo, domenica, la Madonna vi passi sopra in processione. “E cos’è adesso ’sta sciarrata?” feci subito io, asciugandomi senza ritegno gli occhi. Ma prima che capissi all’indomani cosa fosse la “sciarrata” dei fiori (cioè la festosa, liberatoria, quasi irriverente distruzione dell’Infiorata stessa da parte di quel popolo di Gerano -bambini, adulti, vecchi - che l’aveva così piamente costruita) quella sera a Gerano la mia vera “Infiorata”, indimenticabile commovente,

fu l’Ave Maris Stella.

Fabio Storelli

   

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